“Ha fatto bene Pierluigi Battista a dare l’allarme sul rischio di impoverimento spirituale del Paese. Le nostre istituzioni culturali vivono una condizione cronica di precarietà che rischia di spegnere la speranza di una società migliore. Il tema non è solo quello delle risorse da investire (che registra oggi una positiva inversione di tendenza rispetto al passato) quanto quello di un reciproco riconoscimento di ruolo delle politiche culturali nel sistema Paese. In un contesto globale che valorizza gli indicatori del benessere mettendo in discussione il Pil più tradizionalmente inteso, proprio noi che custodiamo bellezza ed emozioni siamo finiti in una spirale perversa di numeri. Nessuno si pone il tema di valutare la nostra capacità di parlare a una comunità, di fare coesione sociale, di essere spazio pubblico di pensiero e confronto. È fin troppo ovvio che dove il mercato non arriva deve essere lo Stato a intervenire. Ma perché questo accada, le politiche culturali devono essere considerate parte costitutiva del welfare. Se ciò non accade non potremo meravigliarci se dominano le logiche di mercato o stupirci se scompare quello straordinario artigianato di saperi che continua a fare grande il nostro Paese. Dobbiamo pensare ai nostri teatri come aziende che danno lavoro specializzato a molte persone piuttosto che come luoghi di sprechi e di privilegi. Tenere in piedi un’istituzione culturale è diventata quasi una battaglia di resistenza. Se davvero siamo convinti che le istituzioni culturali siano le architravi portanti del nostro Paese, siamo ancora in tempo, tutti insieme, per metterle in sicurezza per il futuro.“
La lettera del Presidente Anfols e Sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo, Francesco Giambrone, arriva dopo l’articolo “L’emergenza della cultura” di Pierluigi Battista, pubblicato sul Corriere della Sera:
“È giusto che lo Stato consideri un’emergenza nazionale come come le banche che rischiano di fallire, le fabbriche che chiudono, le acciaierie che si spengono, le compagnie aeree che sprofondano, il regime di povertà civile che sta immiserendo e desertificando il nostro Paese con la chiusura, una dopo l’altra, o l’umiliazione delle istituzioni culturali.” Continua a leggere sul sito www.corriere.it